Viola

Cara piccola Viola, non sei mai nata. Ma hai visto tutto l’orrore del mondo. Hai dovuto subire persino un’autopsia. Perché si vuole accertare di chi sei figlia. Sarebbe stato meglio non saperlo mai e lasciarti questo mistero, nella speranza che quel principio di vita ti sia stato regalato da un soffio d’amore e non dal caso o dalla violenza. Ma tu sai, hai sempre saputo. E per otto mesi hai respirato nel cuore di tua madre. Consapevole e confusa; smarrita, nel prepararti alla vita, in un groviglio di emozioni che ti arrivavano disordinate dai confini del tuo rifugio. Le piccole voci dei tuoi fratellini, gli strilli alternati alle risate, e le parole tenere di tua madre a volte per te a volte per loro. E poi quelle voci grosse, arrabbiate, prepotenti che ti facevano sobbalzare e ti lasciavano inquieta, finché una carezza triste della mamma ti permetteva di assopirti ancora. Tu ti chiedevi, nella sapienza antica del tuo dna di femmina, e chiunque fosse tuo padre, il perché di tanto dolore. Ma la tua mamma non era capace di spiegartelo. E neppure di spiegarlo a se stessa. Schiava com’era della paura e della dipendenza da quel dolore. Se fossi nata, cara piccola Viola, avresti potuto capire che l’amore fra le persone è spesso qualcosa di insano, che si chiama amore perché non si sa come definire quel legame che attrae e respinge e tuttavia è difficile recidere. Anzi, sovente non lo si vuole proprio interrompere. E non per l’imbarazzo del giudizio altrui, ma perché si ha paura. Di sé e dell’altro. La vittima di questa specie d’amore si convince di meritare le offese, il malumore, persino il disprezzo e la rabbia di chi dice di amarla. Si sente in colpa, crede di essere incapace o inadeguata, si allinea alle ragioni apparenti dell’altro. L’amore malsano trasforma la vita quotidiana in una nebbia di dolore inferto e subìto, dove i gesti di reazione e di fuga sembrano assurdi e violenti, a tal punto la violenza ha paralizzato la mente. E chi subisce queste aggressioni, psicologiche o fisiche non c’è differenza, si trova in uno stato di terribile isolamento: insicurezza, umiliazione, inganno e vergogna non sono raccontabili. Se non si è creduti, è un’ulteriore ingiuria. Se non si è aiutati, è l’ennesima violenza. Si preferisce piuttosto la prigione del dubbio, dell’assurda speranza che non ci sia un’altra volta. E pur di non sentirsi soli, di non dover raccogliere le energie residue e combattere, si accettano le carezze del nemico. Finché un giorno diventano coltellate mortali, che uccidono figli, mogli, mariti, madri e padri. Per distruggere il male, per spiegare l’amore sbagliato. Le persone al di fuori di queste relazioni dannose, non vogliono capire. Spesso addirittura si schierano con le ragioni dell’aggressore. O perché la vittima non si sa far aiutare, o perché gli altri sono incapaci di iniziativa e di solidarietà. E così tante vite si consumano nella crudeltà e nella sofferenza, i sentimenti sono manipolati e truffati, nessuno si assume con lealtà e responsabilità il dovere di mettere in discussione queste drammatiche relazioni familiari. Nessuno. Né i parenti, né gli amici. Il medico di famiglia, la maestra dei figli. Il carabiniere o il poliziotto chiamati all’improvviso. Non parliamo del magistrato. Che vuole le prove. E quando le ha, le contesta. Sai Viola, cosa mi sono sentita dire da un magistrato, donna, quando ho chiesto l’allontanamento di un marito che schiaffeggiava la moglie, la prendeva a pugni e la perseguitava con frasi denigratorie? “Avvocato, lei non può entrare a gamba tesa nella vita di una famiglia. Si sa che queste cose succedono in certi ambienti”. Bene, anzi male. Se si sa che succedono, perché non si puniscono i colpevoli? Perché non si previene la violenza? Bisogna aspettare l’omicidio perché ci sia un guizzo d’interesse da parte della gente “per bene”? E, comunque, dopo, c’è sempre il garantismo dell’assassino, mai della vittima. Anzi, proprio nel tuo caso, piccola bimba mai nata, si vuole andare a vedere se la tua mamma avesse o no tradito il marito. Sarai stupita nello scoprire dove si vadano a cercare le ragioni e i torti di un assassinio. Ma poi ha delle ragioni condivisibili un assassinio? Del resto, se in questo mondo non c’è rispetto di una donna viva, perché dovrebbe essercene per una povera morta? Cara Viola, non sei riuscita a vedere la luce perché sei stata invischiata e distrutta da una trama di incomprensibili sentimenti, debolezza, violenza e indifferenza. Forse la colpa non è solo di chi era vicino ai tuoi familiari e non ha saputo capire e agire per tempo. La colpa è anche di tutti noi che stavamo per accoglierti nel mondo e non ce ne siamo accorti, non abbiamo pensato a te. Come non ci interessiamo mai della vita degli altri, ciascuno per le sue personali e professionali competenze. Ogni giorno in Italia c’è un omicidio in famiglia. Che cosa stanno facendo i politici, i media, la Chiesa, i giudici, gli avvocati per arginare questa perversione? E’ più importante trasferire surrettiziamente gli ufficiali della Guardia di Finanza o formare e informare i cittadini sui disagi sentimentali e psichici che portano la morte? Cara Viola, mai nata, mai amata, mai lasciata in pace, neppure nella tomba, è pensando a te, al tuo grido inespresso, né di gioia né di dolore, che tutti ora dobbiamo trovare il coraggio di raccontare e di agire, affinché il subire e l’infliggere dolore non sia più uno stile di vita. Né di morte.