Caro zio Renato

Eh no, caro Zio Renato. Non mi sei proprio piaciuto. Ti chiamo così, perché dici che noi di libero siamo tutti parenti. E io ho scoperto di avere, invece del fratello, pressoché coetaneo, come credevo, uno zio dell’ottocento. Sai quei signori anziani, molto codini e altrettanto incoerentemente indulgenti? Da te, così rigoroso, proprio non mi aspettavo l’elogio del tradimento. Per di più sorretto da uno pseudo sillogismo che non sta in piedi: “l’amore è responsabilità, amare è saper perdonare, quindi il tradimento merita il perdono di chi si ama”. E allora come colleghi la responsabilità, soprattutto quella affettiva, al tradimento? E’ responsabile chi tradisce ed è altrettanto responsabile chi perdona? Nell”800, appunto, quando le donne avevano poca voce in capitolo e gli uomini si autogiustificavano ogni nefandezza come affermazione di virilità e carnalità ingovernabile, la tua tesi sarebbe stata forse sostenibile. Ma oggi, educati come dovremmo essere ai diritti e ai doveri individuali, alla responsabilità sociale, alla graduazione degli interessi, al rispetto di regole uguali per tutti i sessi, questa tesi è tanto antistorica da essere offensiva. Verso i sentimenti e verso l e persone. Da te avrei preferito l’elogio della fedeltà, eroica ed erotica al tempo stesso. E, comunque sia, da considerarsi il minimo assoluto da offrire a un partner che si rispetti. Quando si ha rispetto anche per sé stessi. Io non ho mai affermato che il sesso sia di importanza tale da indursi a separarsi quando nella coppia non c’è più. Anzi, da sempre sostengo che il sesso e la libertina carnalità sono di grado talmente infimo nella valutazione delle cose coniugali, che chiunque, se tradisce per sesso, dovrebbe interrogarsi sulle proprie qualità e sul suo ruolo nella coppia. Dopodiché, con coraggio, decidere la separazione per non perpetuare la miseria del suo comportamento. E questa soluzione, non è come dici tu, caro Zio Renato,”l’audace amore per la libertà” e l’opportunità di fare sesso. Non ci si separa “facendo fagotto” e “mollando la prole e il coniuge in nome dell’orgasmo e annessa illusione sentimentale”. Ci si separa per non vergognarsi di sé, sia che si abbia tradito, sia che non si voglia soggiacere alle meschinità quotidiane del traditore. Peraltro, separandosi, non è così certo che si salgano montagne “in solitaria gloria”: perché ciò possa avvenire, è indispensabile continuare a onorare ogni giorno i sentimenti e i valori che hanno imposto la decisione. Quindi di spazio per gli orgasmi ce n’è ben poco. Non si “vola via”. Si ricomincia il cammino faticoso della vita senza la zavorra di menzogne, grettezze, ingiurie e umiliazioni che ogni traditore affonda nel cuore del tradito. SI lascia il dolore sporco per respirare, pur tra asma e bronchiti di ritorno, l’ossigeno della pulizia morale. Perché la “voluttà del momento”, come tu definisci il gesto orrendo di infangare il progetto vitale di una coppia, deve valere di più degli stessi sentimenti verso il partner? Se i sentimenti, il “giudizio commosso”, il “senso della vita” sono più importanti, perché cedere al piacere del momento? E’ troppo comodo ricevere tutto: emozioni sessuali precarie e anche sentimenti profondi e tetragoni. Garantiti dal diritto assoluto al perdono. E’ il potenziale traditore, invece, che si deve interrogare, prima di ogni gesto egoista e crudele. Non il tradito che, nel dolore amaro, dovrebbe perdonare la volubilità e l’incoscienza di chi privilegia il piacere genitale sopra ogni promessa e storia familiare. E’ il traditore che deve pensare ai figli un attimo prima di spogliarsi clandestinamente dell’onore e delle promesse fatte. C’è sempre dietro l’angolo di ogni coppia una sadica fatina bionda o un giocoso bruto azzurro che può attentare alla fedeltà, ai sentimenti, alla vita e all’onore di ciascuno. La persona di carattere, matura e consapevole, sa resistere alle inevitabili tentazioni e deve sapere che in amore non bisogna mai mettersi nelle condizioni di chiedere scusa. Perché fare del male all’altro vuol dire prima di tutto rinnegare sé stessi. Ma poi, soprattutto, significa ferire a morte chi sta dichiarando amore. E che senso ha il perdono per chi è condannato a morte? E’ un’illusione per non morire. E’ un confuso, forse l’ultimo, gesto di generosità confidando nel Paradiso. Il futuro non c’è più. E’ stato inevitabilmente compromesso dall’egoismo del tradimento e dalla presunzione del perdono sicuro, veleni mortali che pregiudicano la sanità psicofisica anche di chi li ha inoculati. In conclusione, caro antico zio Renato, l’unico possibile sillogismo è il seguente: l’amore è responsabilità, chi è responsabile non tradisce, chi sa amare non può essere un traditore. E il perdono è l’estrema unzione dell’amore