Mi hanno sospeso 3 mesi – Ora vi spiego chi sono

Un giorno una cliente mi ha detto: «Mia figlia adolescente da grande vuol fare la Bernardini de Pace». Non l’avvocato, la Bernardini de Pace. Dapprima mi sono sorpresa, poi ho ricordato i miei quindici anni quando informavo tutti che da grande avrei «fatto Montanelli», non semplicemente la giornalista. Volevo dire che, al di là della voglia di quel determinato ruolo, mi appassionava il carattere, il modo di essere, il coraggio e la passione proprio di quel giornalista. Dunque, mi sono chiesta che cosa mai potesse piacere di me a una ragazzina dei giorni nostri. A parte la mia frequentazione, da suocera, di Raoul Bova, mito delle giovani donne. Infatti credo di avere un’immagine, diciamo così, pubblica che si discosta significativamente da quella reale. Vengo rappresentata come uno squalo assetato di sangue e denaro, che non il dito ma la mannaia mette tra mogli e marito. Una rovinafamiglie che va a cercare coniugi innamorati per mettere zizzania e specularci. La leggenda narra che mi circondo di donne perché sarei lesbica, che castro e sfrutto i miei collaboratori, che corrompo i funzionari di tutte le televisioni per non perdermi un passaggio mediatico, che scrivo sui giornali perché i miei fratelli, editori e pubblicitari, hanno gli spazi gratis. Manca solo la voce che mangio i bambini e che faccio i wodoo per vincere le cause. Ma non è detto: forse questa non mi è ancora arrivata all’orecchio. Ventimila divorzi Invece, pur essendo io prepotente e rompiscatole, spesso irascibile e con un’ingovernabile tendenza all’ironia che sfiora il sarcasmo e mi rende antipatica a molti, non credo di essere così pessima come molti mi vedono. Capisco, tuttavia, che gli effetti della mia attività professionale possano essere strumenti per male interpretarmi nelle mani di chi è superficiale o di chi, per ragioni di ruoli, mi è contro. Mi occupo da 27 anni soprattutto di divorzi, dove i contendenti sono sempre due e sempre diversi. Ho affrontato più di ventimila casi e dunque ho la certezza di avere nel mondo almeno ventimila persone che mi sono grate e che mi hanno apprezzato. Devo naturalmente detrarre dal numero, quella cinquantina di clienti che non mi ha pagato (i maleducati e gli irriconoscenti proliferano ovunque). I nemici però sono tanti di più. Anche se non tutti gli avversari lo sono: molti di loro, nel tempo, hanno addirittura inviato al mio studio amici e parenti. Altri, pur accaniti oppositori, nel corso dei procedimenti giudiziari hanno trovato l’accordo col coniuge e rinnegato l’odio che mi avevano in precedenza riservato. C’è da aggiungere però, alle controparti nemiche, il gran numero dei miei colleghi che tentano malamente di nascondere la disistima, l’arroganza, l’invidia, l’aggressività, l’inimicizia, e persino la persecuzione, verso di me. Considerata da loro un avvocato sui generis, fuori dalle righe, desiderosa di pubblicità. Carissima. Ma incapace non l’ha mai detto nessuno. Neppure il Consiglio dell’Ordine che mi ha sospeso per tre mesi dalla professione. Rispetto la decisione per via del ruolo ma… La verità – e amo la verità per la sua forza rivoluzionaria – è che sono diventata avvocato non per scelta ma per necessità, dopo la separazione. Non ho mai cercato né padrini né padroni per avere aiuti. Non ho mai conquistato un cliente, ma tutti quelli che mi hanno cercato hanno conquistato me. Per la loro storia, voglia di giustizia, umanità. Non ho mai messo un coniuge contro l’altro, li ho invece fatti ragionare tutti sull’interesse primario dei loro figli. Non ho mai sfruttato i miei collaboratori che ho allevato e formato nutrendoli con la passione per la giustizia, l’ansia delle scadenze, gli obiettivi della perfezione. Alcuni di loro sono con me da 18 anni, almeno 7 sono molto più capaci di me e costituiscono la forza di quello che i miei detrattori definiscono l’immeritato successo. Guadagno molto, lavoro molto Guadagno molto perché dichiaro tutto, ho tanti clienti e lavoro 365 giorni all’anno (nel 2008 366). Un serio avvocato non fa l’avvocato alla scrivania nelle ore canoniche. È avvocato, sempre. Anche nei giorni festivi, a portata di cellulare sempre acceso. Vivo nel dolore liquido e bruciante che ogni giorno la gente mi fa colare addosso, quando mi chiede il miracolo di trasformare un fallimento familiare in una nuova opportunità di sognare. Dolore, rancore, violenza, giustizia, vendetta, rabbia sono le parole che vengono depositate a mazzi nel mio cuore. E, su tutte, amore. Amore sperato, frustrato, deluso, maltrattato, rinunciato. È difficile, molto difficile, riportare alla ragione del diritto persone così destrutturate da sentimenti forti e confusi. Ma è inevitabile il farlo, e farlo bene, se hai coscienza umana, civile e professionale. Non c’è una separazione uguale all’altra: cambiano le persone, i problemi, gli interessi. Cambia, ogni volta, la strategia e l’attività dell’avvocato. Cambia anche la parcella che un antistorico tariffario riduce alla semplice formazione e presentazione del ricorso quando, per esempio, si tratta di una consensuale. Un avvocato serio e coscienzioso sa che la “consensuale” è l’inizio di una nuova vita, che non vi devono essere semi di futuri conflitti, che la fantasia dei coniugi ribelli e rancorosi è senza limiti, che ogni possibile evento deve essere ipotizzato e accortamente evitato fin da subito. Ma prima di arrivare a quel verbale consensuale, devi informare il cliente, consigliargli e consultare, se necessario, psicologi, commercialisti, investigatori, tributaristi, penalisti, ingegneri persino, a seconda delle situazioni. Devi accompagnare il cliente alla conoscenza dei fatti, dei suoi diritti, dei luoghi a volte perversi di una giustizia inarrivabile. Devi portare il cliente a scegliere consapevolmente il percorso alternativo che gli si prospetta. Questo richiede pazienza, competenza, esperienza, tempo senza limiti d’orario. Richiede, secondo me, una squadra di tre avvocati sempre sul pezzo. Questo assicura il successo dell’impegno professionale e toglie al cliente il panico, e il rancore verso il coniuge, gli fa conquistare serenità e libertà dal conflitto. Questo fa sì che le mie parcelle siano considerate illeciti deontologici – per cui vengo punita dall’Ordine – e che molti colleghi dicano a potenziali o effettivi miei clienti “vieni da me che risparmi”. Ciò non toglie che ogni anno io possa, anzi voglia, rendere tante prestazioni gratuite a favore di chi non ha mezzi ma merita attenzione. E che abbia scritto tanti libri per avvicinare il diritto alla gente, con linguaggio comprensibile a tutti, proprio perché privo della scientificità che colleghi pomposi e inutili dicono che io non abbia. Anarchica, ribelle, passionale Ho molti amici dunque, ma altrettanti nemici. Perché sono anarchica, ribelle alle lobbies, passionale. Perché sono donna. È tristissimo il doverlo dire, ma è la verità. Le donne serie e che raggiungono risultati, non solo non hanno una vita senza sconti, ma pagano il sovrapprezzo. Se mi compro la Maserati vengo definita con disprezzo “un’esibizionista di destra”. Nulla si dice dei colleghi maschi, comunisti o di Comunione e liberazione, che girano su Porsche, Mercedes o Lexus che costano di più. Sono nazionalista e voglio un’auto italiana; percorro 100 mila chilometri all’anno per combattere le ingiustizie. È giusto che abbia un’auto bella, comoda e sicura. La mia auto la usano anche i miei collaboratori ed è praticamente per me una casa-studio-mezzo di spostamento. Perché criticarmi anche per questo? In verità queste critiche non infrangono la fermezza delle mie convinzioni. Nella mia scala di valori esiste alla sommità il cliente-vittima, poi viene il rispetto verso i giudici e in terza posizione il rapporto con i colleghi. Non riesco proprio a condividere chi vuole convincermi a privilegiare le relazioni diplomatiche coi colleghi “perché tanto il cliente se ne va”. A me piace costruire un buon ricordo su un territorio di valori importanti. Primo fra tutti la verità, qualunque essa sia. Anche quella che oggi dall’11 marzo all’11 giugno non posso tutelare i miei clienti. Dunque, non capisco davvero se la mia futura collega oggi quindicenne, abbia preso a modello l’idea che della Bernardini de Pace hanno gli amici, oppure quell’altra, quella cattiva secondo i nemici. In questo caso vorrei che non si iscrivesse a giurisprudenza ma che, piuttosto, invece di fare la Bernardini de Pace, si “facesse” qualche uomo di potere. Sarebbe più facile e più comodo: arriverebbe dovunque e sarebbe sempre protetta. Se invece l’aspirante avvocato vuole essere la Bernardini de Pace che sono davvero, allora si deve preparare. Ero infatti assolutamente ignara della provocazione, competizione, cattiveria, ipocrisia e ignoranza, ma soprattutto invidia palese, che assalgono e tentano di soffocare una donna quando emerge da sola, senza aiuti e con sacrifici. Queste brutte bestie, che spuntano dalle anime piccole e pusillanimi, possono distruggere l’esistenza e la professione. Se non ti accorgi che stanno acquattate in ogni dove, pronte a sbranarti, rischi di essere il sangue del quale hanno necessità di nutrirsi per fare vedere che esistono. Ma ci sono anche i colleghi troppo severi e che mi condannano nella mia assoluta buona fede. Direi alla mia giovane amica: scegli questa strada se non hai paura di avere tutti i giorni il coraggio di essere te stessa. Se sei pronta, per amore delle tue idee, a essere impopolare tra i tuoi colleghi. Se hai come obiettivo la sola soddisfazione dei tuoi clienti. Che a te costa, certamente, molto più che a loro.