Mi rubi il marito? Devi risarcirmi

[In America l’amante di un uomo sposato, che poi per lei ha divorziato, è stata condannata a pagare 9 milioni di dollari alla moglie abbandonata. Se in Italia vigesse una legge simile, o vi fosse la possibilità di interpretare in tal senso una norma esistente, le mogli (o anche i mariti) tradite potrebbero aspirare all’apice della ricchezza del Paese: dopo una fantastica class action, potrebbero unirsi in una potentissima lobby. Invece in Italia non è così che funziona. Il comportamento che nel North Carolina è definito “alienazione dagli affetti” (cioè il rubare il partner a qualcuno), noi potremmo descriverlo come “induzione all’inadempimento del dovere coniugale di fedeltà”. Così giuridicamente può essere inquadrato il comportamento di chi istiga un coniuge all’adulterio. Appare a tutti, questo, un fatto ingiusto, sia esso colposo o doloso, perché provoca un danno alla famiglia e alla coppia, istituzioni tutelate dalla nostra normativa. Tuttavia i giudici, per accertare che il fatto sia illecito, e quindi produttivo di risarcimento monetario, pretendono che si provi il comportamento attivo dell’aspirante amante; che ci sia, cioè, il cosiddetto nesso di causalità tra quest’ultimo e il tradimento: un corteggiamento implacabile, sms e telefonate, regali e qualsiasi altra attività che, con l’istigazione, faccia cedere un coniuge recalcitrante. Diversa è, infatti, la situazione se il marito o la moglie, candidati fedifraghi, hanno essi stessi un comportamento anelante e volontario verso l’individuato amante possibile. In questi termini la pensava la giurisprudenza, in particolare il Tribunale di Roma, alla fine degli anni 80. Circa dieci anni dopo, alleggeritisi i costumi sociali e imperante, quindi, la libertà sessuale, il Tribunale di Monza ha specificato che non può esserci un dovere giuridico di astensione dalle interferenze nella vita coniugale altrui. La fedeltà è, infatti, un obbligo reciproco dei coniugi; se questi sono capaci di intendere e di volere, sono in grado di autodeterminarsi nelle proprie scelte. Dunque, ognuno risponde delle proprie azioni e i coniugi si scornino all’interno delle mura domestiche. Concetto difficilissimo, però, da spiegare a chi, tradito, è devastato dal dolore: preferisce così credere che ci sia un farabutto (o farabutta) lusingatore e rapace, piuttosto che un coniuge volontariamente sleale e infido. L’infedeltà è un rischio del matrimonio, nel quale c’è l’obbligo del rispetto del dovere reciproco di lealtà. La cui garanzia deve stare nel nutrimento quotidiano dell’affettività e dell’intesa di pensiero dei coniugi, non certo nel divieto per tutti di inserirsi da terzo, comodo o incomodo, nella famiglia altrui: se così fosse, il diritto alla fedeltà sarebbe un diritto assoluto, cioè valido per tutti i cittadini, e non relativo, cioè di pertinenza dei soli cittadini uniti in matrimonio. Dunque, l’infedele è tale per libera scelta. E come tale va giudicato, anche dal suo partner. Non vale, come ha affermato il Tribunale di Milano nel 2002, “il riferimento ai valori costituzionali di solidarietà o di tutela della famiglia”, giacché questi principi sono di rango pari “al diritto, pure esso costituzionalmente garantito, alla libera espressione della propria personalità”. Quanto si è detto sinora conta sul piano giuridico, e quindi, per l’ipotesi di volere essere risarciti da un grave dolore, non da parte di chi l’ha procurato veramente bensì dal complice. La legge italiana, in conclusione, lo esclude, diversamente da qualche legge americana. Ma noi viviamo anche di usi, costumi, abitudini, valori etici e comportamentali che oggi, nel ventunesimo, secolo dovrebbero finalmente essere resettati. Se gli uomini fossero meno superficiali, se le donne fossero più solidali tra loro e meno disponibili, se le mogli fossero più severe con i mariti fedifraghi, se i mariti fossero più attenti alle uscite “sportive” delle mogli, forse le coppie sarebbero meno attaccabili e meno sgretolabili. Occasioni di tradimento ci sarebbero sempre, perché, pur essendo il tradire un gesto orrendo, è pur sempre connaturato alla natura umana. E neppure Cristo poté scamparvi. Tuttavia, i traditi anziché chiedere risarcimenti a chicchessia, potrebbero imparare a disprezzare il partner traditore, non giustificandolo come incapace di intendere e di volere, ma giudicandolo capace di fare molto male. Un male, comunque sia, e da chiunque venga, moralmente indelebile. Dunque, irrisarcibile.