Una buona mamma? Non compra la droga

[“Sono estranea al fatto” proprio non lo può dire. E, dunque, appare davvero provocatorio sentirle ripetere ” Sono una mamma. Rispettatemi.” Si capisce, invece, perché la legge del carcere l’abbia già condannata: una mamma, definibile tale, non avrebbe mai messo il suo piccolo bimbo nella situazione che l’ha portato alla morte. Tra le mani di un drogato violento, mentre lei faceva il carico di droga per entrambi. Il povero piccolo sventurato aveva solo otto mesi.E non possiamo continuare a giustificare qualsiasi cosa. Se bastasse definirsi mamma, per essere considerata innocente e addolorata, non ci sarebbero al mondo milioni di bimbi infelici, maltrattati, abusati e persino uccisi. E’ polverosa retorica quella di chiedere rispetto solo per il fatto di essere madre. Se poi il figlio è stato ucciso per la sua incuria, è anche strumentalizzazione inquietante; ingiuriosa, addirittura, verso tutte le mamme rimaste orfane delle proprie creature per inesorabili malattie, per la guerra, i terremoti, le crudeli mani altrui. Purtroppo le mamme cattive esistono. Ci sono sempre state. Non è così vero che l’istinto materno sia innato. La madre ha invece il potere, senza confini, di scegliere tra la vita e la morte di un figlio: può decidere se farlo nascere e come farlo vivere. Poi nell’amore della madre, giusto, sbagliato, equivoco, violento, inadeguato o rassicurante, c’è il destino di quel figlio. Un destino già abbozzato prima, con il padre che per lui la madre aveva trovato, o negato o nel quale era casualmente incappata. O che neppure sapeva chi fosse. Tutte le mamme dicono che vogliono la felicità dei figli. Molte dimenticano, però, di esercitare l’attenzione e la responsabilità, cardini dell’amore materno e frutto di una consapevolezza che non ha nulla di istintivo e tantomeno di innato. La buona madre ha un progetto a lungo termine; sa che l’avere un figlio impone cambiamenti di vita e di pensiero, porta fatica e ansie, pretende tempi privilegiati da dedicare a una creatura bisognosa di accudimento, nutrimento, sguardi amorevoli e ascolto. La mamma assente, indifferente, incapace, inerte, implacabile nel continuare a vivere come se il figlio non fosse nato, è una mamma cattiva. Una madre colpevolissima, anche se il figlio rimane vivo, malgrado le situazioni di pregiudizio che lei gli crea.E’ una madre che viola i poteri e i doveri che per legge acquisisce nel momento in cui pretende di essere la madre di qualcuno. Oggi la maternità è una scelta, persino segnata dall’onnipotenza: non si può accampare un mero diritto di sangue per dichiararsi madre e rivendicare, per ciò solo, il rispetto di chicchessia. L’egoismo, l’inadeguatezza, i comportamenti autodistruttivi, la presunzione, la sventatezza sporcano inesorabilmente l’importante e serio significato della parola e della funzione di madre. Qualsiasi nuovo nato ha diritto, quantomeno, e se non all’amore, al rispetto anche basico dei diritti riconosciutigli dalla Costituzione: mantenimento, educazione, istruzione, salute, rispetto dell’identità. Ha diritto alla vita e a questa deve essere preparato e formato. Una madre che a ciò non si è attrezzata con sapienza e coraggio, che non ha modificato l’ordine dei suoi valori esistenziali, che non ha attivato la forza morale necessaria all’importante compito, è una mamma cattiva che disonora il suo nome e non può evocare vittimisticamente un dolore terribile, in nome dell’essere madre. Non ci sono due rigide e antitetiche categorie di mamme, buone e cattive;le differenze tra l’una e l’altra sono numerosissime e danno luogo a infinite sfumature di maternità, che possono anche convivere in una sola persona. Certo, per essere buone mamme, bisogna aver potuto contare anche su di un ambiente affettivo adeguato, su occasioni di educazione positiva e realizzazione personale. Bisogna avere imparato il senso di responsabilità e l’umiltà di chiedere aiuti competenti nel dubbio e nella paura. Alcune mamme cattive sono perciò vittime loro stesse dell’amore inesistente di chi le ha cresciute. Altre, però, sono combattute tra l’essere solo donne, anche non encomiabili, e il diventare madri in qualche modo. La maternità ha tante zone d’ombra: cupe, inquietanti, terribili, che raccontano del freddo distacco, della malvagità, della violenza. Della trascuratezza che porta alla morte un bimbo, perché colpevole di avere all’improvviso compresso la libertà di sua madre, vogliosa di vivere nell’annientamento di se stessa. Tanto da non accorgersi di volere vivere la sua vita in cambio di quella del figlio. Questa madre non è, quindi, “estranea al fatto”: ha tradito suo figlio e se stessa, perché non aveva capito, e non le bastava, di essere madre. E ora non può più chiamarsi così.