Papà tradisce mamma? I figli ne stiano fuori

Caro Davide, non sono d’accordo con i contenuti della tua lettera, nella quale inviti il papà a lasciare l’amante – dopo tre anni – e a scegliere la famiglia. Racconti che state tutti lacrimando, siete stanchi di combattere e quest’altra donna non merita amore, giacché ha due matrimoni alle spalle e ha distrutto la vostra famiglia. Non sono d’accordo prima di tutto perché sono passati tre anni di troppo. Questi discorsi, o si fanno nel momento in cui si svela il tradimento o sono del tutto fuori luogo. O si chiude o si ricostruisce. Se tuo padre non è stato leale e tua madre ha voluto accettare il perpetuarsi nel tempo dell’umiliazione dell’infedeltà, te la devi prendere con entrambi, oppure subire il disagio che, appunto entrambi, hanno creato ai figli. In tutte le cose a due, c’è quasi sempre corresponsabilità. Tu, inoltre, sei la vittima di quel modo di pensare per cui i coniugi si convincono di dovere stare insieme «per i figli»: lui non lascia la moglie ma si tiene l’amante, lei non lo caccia di casa, ma riesce a schierargli i figli contro e, intanto, tutti aspettano che succeda qualcosa di risolutivo. Nel frattempo, però, i figli diventano l’alibi, facilissimo e vile, per nascondere se stessi e ricattare l’altro. I sentimenti di tutti restano sospesi, il problema non detto, ma sofferto, sostituisce coi silenzi il dialogo familiare. Quel problema, negato, si aggrava ogni giorno, producendo in tutti danno e dolore. Si combatte per mantenere l’indissolubilità del matrimonio, vedendone l’insidia solo nell’amante fisso. E così, giorno per giorno, la famiglia produce egoismo e cattiverie, finendo col ritrovarsi denutrita di affetti e di valori. L’idea della separazione minaccia la certezza di ciò che si è acquisito, per cui si preferisce sperare che tutto torni come prima, quasi non fosse successo niente. Ma quello che è successo è grave, gravissimo: avere un amante durante il matrimonio è un atto di aperta slealtà, che viola il principio della reciproca solidarietà morale e materiale dei coniugi, il fondamento cioè del matrimonio. Nel momento tragico e doloroso in cui si scopre di essere traditi, ci sono solo due strade serie da percorrere: o si prende atto che l’amore è finito e, se l’amore è stata la motivazione basilare del matrimonio, ci si separa; oppure ci si mette in discussione, non si considera il tradimento sessuale come inganno e lo si accetta. Accettando, in entrambi i casi, le sofferenze, le difficoltà, i cambiamenti. Senza recriminazioni, senza insulti, senza false aspettative. Molti, invece, confondono l’amore con il diritto allo stato coniugale acquisito: il matrimonio deve durare, perché è la garanzia di un’obbligatoria felicità. Dimenticando che nessuno ha il diritto alla felicità, quando invece l’infelicità coniugale dà il diritto a chiedere la separazione. Diritto che c’è, e andrebbe attivato da uno dei coniugi, quando la vita familiare è intollerabile per l’importanza assunta, nel bene e nel male, da una persona esterna alla famiglia. Caro Davide, non è proprio giusto accusare solo questa donna che, tutt’al più, può essere considerata complice dell’infedeltà di tuo padre e del tutto priva di solidarietà femminile verso tua madre. Se proprio hai voglia di giudicare, devi prendere in esame le possibili colpe di tutti. Perché, secondo te, il cuore di tuo padre dovrebbe essere «oscurato» dai sentimenti di una donna o per lei, quando invece lui potrebbe raccontarci, solo per esempio, di essere stato trascurato troppo a lungo da tua madre? Oppure di essere un traditore seriale, sempre accettato tranne questa volta? In ogni caso è privo di coraggio, come pure tua madre, laddove entrambi preferiscono nascondersi tartufescamente dietro la maschera del ruolo familiare, sulle spalle fragili di voi figli, invece di vivere la verità. Sono convinti di soffrire per amore, e soffrono invece per egoismo e incapacità. La separazione non è il danno maggiore, rispetto a quello di un matrimonio infelice. E di una famiglia devastata nella stessa casa. Non voglio così farti dire che per me è facile e comodo esprimere questi concetti, visto che sono avvocato divorzista. Ti assicuro che vivo nel mio lavoro i miei valori più sentiti, e non viceversa. La scelta della separazione per quanto difficile, dolorosa e faticosa, costituisce l’unica possibilità di essere coerenti con valori quali la verità, il coraggio, l’autonomia, la lealtà. Non è la separazione a distruggere una famiglia seria e sana e non è la convivenza nello stesso territorio a renderla solida e pulita. A volte, la verità e la trasparenza di una corretta separazione possono salvare la famiglia dalla dissoluzione dei sentimenti. Voi figli non dovete accettare di portare i pesi gravi e grevi che sembrano imporvi genitori confusi e non coraggiosi. Non siete la colla per tenere insieme due coniugi, allontanatisi da tempo, che stanno pagando, forse, una tangente al ruolo genitoriale. Ma questo non è rispettoso di voi, delle vostre giovani vite, della vostra libertà di scegliere senza schierarvi con nessuno. Non dovete più essere la polizza assicurativa di un matrimonio unito, non avete il dovere di lacrimare perché nasca un fiore nel deserto d’amore che respirate ogni giorno. Caro Davide, non chiedere dunque più al papà di «tornare da voi»; aiutalo invece ad andarsene con coraggio e responsabilità affettiva. Offri alla tua mamma l’opportunità di sentirsi ancora amata, senza obbligare qualcuno a farlo. Aiuta entrambi a essere consapevoli e creativi. La separazione non è una vergogna: è un rimedio necessario a un matrimonio sbagliato o esaurito; un’alternativa pulita alla simulazione o al gelo affettivo. Non è una sconfitta, né un fallimento. È un nuovo progetto, che rimette in gioco forze e debolezze nel segno della sincerità. Anche a favore dei figli, per educarli alla vita e ai cambiamenti, quando sono necessari. E, comunque sia, caro Davide, riprenditi la tua vita e continua a credere nei sentimenti, anche se a volte cambiano.