C’è chi rinuncia alla dignità. Ma anche quello è un diritto

Io non mi vergogno, né tantomeno mi sento umiliata, se molte donne sono prostitute, mantenute, ladre o assassine. Mi dispiace, forse ogni tanto mi preoccupo; mi fa anche orrore; ma non penso assolutamente a redimerle. Non me la prendo né con loro, né con gli uomini che le pagano, ne sono derubati o uccisi. Prendo le distanze, se mai. Ma, anche da vicino, non mi sento infangata dal loro agire. Coltivo la differenza. La responsabilità è personale, altrettanto quanto l’umiliazione. L’appartenenza a un genere, non generalizza. Semmai permette di distinguere le diverse specie. Non ho mai visto uomini organizzare gruppi di contestazione per salvare la dignità del genere maschile, a fronte del fatto che molte donne paghino i gigolò, mantengano i mariti, partecipino alle orge. I problemi delle donne, purtroppo, nascono dall’essere sempre viste solo come donne. E cioè bisognose di difese, quote rosa, tutor e badanti del pensiero. Anche se determinate nel bene e nel male. Qualcuno ha mai letto un articolo nel quale si dibattesse di un qualsiasi possibile attentato alla dignità maschile? Eppure ce ne sarebbe da dire: di uomini mascalzoni, vili, cialtroni, ladri, sfruttatori, assassini, pedofili, maniaci sessuali e via dicendo, è pieno il mondo. Ma sono uomini e, come tali, inattaccabili. Tutt’al più malati. Mi fanno schifo tutti questi, ma, tanto per distinguere e per parlarne in particolare, il puttaniere molto meno dello sfruttatore. Quello, se non altro, non commette reati e paga. Questo guadagna più che può dall’uso del corpo di una donna. Anche con la violenza. E una donna, come un uomo, è libera di preferire se donare, vendere o dare in appalto a terzi il proprio corpo. Se restare o scappare. Se seguire o no i buoni esempi. Oggi, nel 2011 è libera davvero di scegliere: la maggioranza di quelle che scelgono di dipendere dall’uomo, non se ne vergogna. Anzi. Si industria perché l’investimento sia più che proficuo, apparecchiandosi quotidianamente con entusiasmo, per umiliarsi nella mercenaria seduzione. Ma è un’opzione che per lei vale più di un’altra. E nessuna di queste donne vuole la compassione o la bizzarra solidarietà di altre donne; soprattutto di quelle che si autoqualificano “sobrie e indignate”; Tantomeno desiderano modificare lo stile di vita e l’orientamento “culturale”. Nessuna, secondo me, vuol lasciare il certo (corposi redditi free tax) per l’incerto (forse un lavoro noioso e ripetitivo, se va bene a mille euro al mese). Sono avide, pigre e viziate. Consapevoli e fiere di esserlo. Sono, quindi, infastidite dalle moraliste ipocrite e bacchettone. Ma anche smemorate, perché dimentiche che la raggiunta parità dei sessi significa pure libertà di decidere, senza necessità di omologazione a modelli precostituiti. Tutte le puttane, le mantenute, le astute manager del loro corpo, sono terrorizzate dal grido oppressivo delle compagne, colte e vergini, “mi riprendo il mio futuro”. Perché ognuna rivendica il diritto all’autodeterminazione nel farsi il futuro che preferisce; e anche di operare un accorto restyling del passato, se un giorno mai si vergognasse di averlo avuto. La libertà è un valore, la dignità un altro. E possono anche entrare in conflitto. La dignità dell’essere umano è certo un patrimonio innato, rispetto, per esempio, all’animale. Ma può essere nutrita, protetta e accresciuta, così come sperperata fino a farla dissolvere. Nessuno può obbligare un altro a mantenerla. La dignità emerge e si solidifica progressivamente in proporzione e in rapporto a ciò che si fa e se ciò che si fa onora l’etica e la morale socialmente condivise. C’è chi cerca la felicità e la sicurezza a ogni costo, anche trasformandosi in oggetto prezzolato del piacere altrui; e chi, invece, tutela la propria dignità non dimenticandosi mai di essere un soggetto unico e irripetibile e di volere seguire l’imperativo morale. Con fatica, impegno, incondizionatamente. Pagando qualsiasi prezzo; e non, invece, incassandolo per meriti relativi e discutibili. La dignità è autonomia, economica e di pensiero. Esclude qualsiasi assoggettamento al volere e al denaro altrui, salvo che derivino da un lavoro o un’attività che, a loro volta, abbiano la dignità etica del lavoro, così come costituzionalmente inteso e garantito. La dignità può essere sinonimo di elevatezza, rispettabilità, stima, orgoglio, decoro, amor proprio. Ed è dunque evidente che non possa appartenere né a tutti gli uomini, né a tutte le donne: perché non tutti vogliono faticare e meritare, essendo, invece, molti attratti dalle scorciatoie del rubare, sfruttare, tradire. In barba a qualsiasi ipotesi di dignità, che funzionerebbe come un invadente freno a mano. Queste persone – donne e uomini –vivono nella nebbia di urgenti pretese e interessi meschini. Lontane dai valori e dai doveri. Tuttavia hanno tutto il diritto di continuare a farlo, senza che frotte di populisti in sciarpa bianca cerchino di educarle in zona Cesarini. Missione impossibile, peraltro, quando, anziché tentare di convincerle, si fa terra bruciata dei pascoli che le nutrono: secondo i candidi “sciarpati”, la colpa della morte della dignità è dell’erba avvelenata; non della lucida volontà di chi vuole comodamente brucare solo quella. Il popolo delle sciarpe bianche si scorda che, in tutti, c’è il luogo privatissimo della propria coscienza (inaccessibile sia alle parole sagge, sia agli schiamazzi delle manifestazioni di piazza) dove l’amministrazione dei valori è del tutto individuale. Così come il giudizio di sé. E’ per questo che la dignità, chi non ce l’ha non se la può dare. Neppure tra le sciarpe bianche, malgrado macroscopici e notori interventi di make-up.