Così le donne combattono il Raìs maschilista

Si potrebbe dire “da bottino di guerra a bottone di comando”. Le donne infatti, dopo essere state, nei secoli, ambita preda dei guerrieri, oggi sono, a pieno titolo, indifferenziate tra gli uomini nel decidere interventi militari e nel partecipare da protagoniste alla guerra. Che poi la si voglia, questa, definire, con audace ossimoro, “guerra umanitaria” è un’altra storia: non può essere tale, solo perché ingentilita da donne. Fatto sta che, la decisione di entrare in guerra, l’ha presa il Segretario di Stato Usa Hillary Clinton, sbriciolando, con golosa perversione, le esitazioni di Obama. Contemporaneamente l’ambasciatrice dell’Onu, Susan Rice, intrepida è riuscita a convincere tutti i paesi del Consiglio di sicurezza a non porre il veto alla risoluzione autorizzativa dell’intervento militare. Si è subito schierata a favore anche Samantha Power, una volta nemica della Clinton e oggi assistente alla Difesa. Sul Times, i tentennamenti, femminili (?), di Obama sono stati ridicolizzati da Anne Marie Slaughter, in passato consigliera di Clinton. E non è finita: chi comanda le forze aeree Nato è la bionda Margaret Woodward; mentre due piloti donna eseguono gli attacchi; l’una, italiana, guidando un caccia Eurofighter e l’altra, inglese, un Tornado. Solo uno degli aerei costa 125 milioni di sterline. In Italia, dal 20 ottobre 1999, la legge 380 ha abbattuto l’ultimo ostacolo alla reale parità tra i sessi: prima di allora esisteva il divieto rigoroso alle donne di partecipare agli organismi di difesa dello Stato. Dunque, non c’è da meravigliarsi che le donne siano interpreti e cuciniere del gusto della guerra, malgrado da più parti si sostenga che, se governassero le donne, non ci sarebbero più guerre nel mondo. E allora come la mettiamo con le Amazzoni? Che siano davvero esistite o facciano parte di una narrazione mitologica resistita nei secoli, poco importa. La storia o l’idea di un popolo guerriero – perché questo sarebbero state – esclusivamente femminile, nega all’origine l’ipotesi del pacifismo connaturato nella donna. Ci saranno pure donne concilianti al mondo, ma sono tante quanti gli uomini. Il resto, per entrambi i generi, è costituito da persone bellicose. Senza discriminazioni di genere. Anzi, si potrebbe persino dire che le donne, una volta acquistata l’opportunità per diritto certificato dalla norma, possono dimostrare nel combattimento, in qualunque genere di conflitto, più reattività e determinazione degli uomini. Hanno, infatti, nel loro dna storico, una tale esperienza di violenze subite, sopraffazione, oltraggi e prepotenze da essere in grado oggi di insorgere con più fermezza, forti come sono diventate per aver dovuto resistere alle soperchierie altrui. E’ significativa dunque l’alleanza transnazionale delle donne guerrafondaie, quando il nemico è stato prontamente identificato in Gheddafi, dittatore e maschilista all’eccesso. Chi per secoli ha subìto e non aveva dalla sua parte la forza del diritto, ora impugna l’arma di quello stesso diritto per svelarsi attiva e combattente; tutt’al più celandosi, con seduttiva astuzia femminile, sotto la trasparentissima veste “umanitaria”. Che poi le donne possano essere spietate e feroci, come e quanto gli uomini, non è scoperta dell’alba di oggi. Basterebbe seguire ogni giorno le storie familiari nel momento patologico della disgregazione coniugale, per capire che, da ormai un decennio, il sesso debole non è più quello femminile e che gli autentici predatori, anche di frodo, si contano più tra le donne. Sicuramente fra quelle infraquarantenni che, ove fossero arruolate, in qualsiasi arma, oltre il 3% di quante se ne contano ora, si dimostrerebbero strateghe – sia in attacco che in difesa – molto più abili, acute e tempestive di qualsiasi coetaneo. Basti, ancora, ricordare la vicenda di Giovanna D’Arco che, pur ignorante di qualsiasi tattica militare, si mise a capo di un esercito di 7000 uomini e sconfisse gli inglesi oppressori per riportare il Delfino sul trono di Francia. Ponendo così termine alla guerra dei cent’anni. Se ciò poteva succedere nel 1400, quando le donne erano prive di qualsiasi riconoscimento e garanzia giuridica, figuriamoci oggi che hanno un Ministero loro dedicato. Oltre a tutto il resto. In Libia, invece, le donne non comandano, ma molte di loro costituiscono lo scudo di guardia personale del dittatore. Sempre che siano giovani e sappiano portare con leggiadra voluttà il basco rosso della divisa. Mi sorge a questo punto un dubbio: che questa guerra sia in realtà una lotta armata tra donne che esercitano il potere sull’uomo e donne che dall’uomo si fanno governare? Se così fosse, non ci sarebbe nulla di nuovo, se non la mediatica e legittimata espansione di un fenomeno vecchissimo, in ragione del quale i sentieri della storia sono lastricati da cadaveri di uomini che, in un modo o nell’altro, sono condizionati dalle femmine di cui si circondano o da cui sono accerchiati. E che combattono tra loro. A ben pensarci, ogni guerra nasce dall’inganno e ogni donna è maestra d’astuzia.