Il divorzio costa al Cav quanto De Benedetti

I giudici della separazione giudiziale hanno il potere di decidere solo sul collocamento dei figli minori dei coniugi, sull’assegnazione della casa coniugale, sugli assegni di mantenimento e sulla responsabilità di chi ha provocato la frattura coniugale. Oltre che, naturalmente, sulla pronuncia di separazione personale. Non hanno alcuna voce in capitolo sul patrimonio. Sulle restituzioni di beni o denaro o su qualsiasi altra rivendicazione i coniugi abbiano reciprocamente. Questa premessa per chiarire che nella vicenda Bartolini/Berlusconi, una volta rinunciata dalle parti la reciproca domanda di addebito della responsabilità (come è possibile fare in qualsiasi momento del processo e come le parti in questione hanno deciso d’accordo di concludere), il collegio dei tre giudici non aveva altra decisione da prendere che quella sul diritto all’assegno della moglie e sul suo ammontare. Ha diritto all’assegno di mantenimento (non “alimentare” come molti, sbagliando, si ostinano a definirlo) il coniuge non responsabile della rottura del rapporto e non in grado di condurre con i propri redditi lo stesso stile di vita assicuratogli dall’altro durante la convivenza matrimoniale. Il tenore di vita, provato e documentato in giudizio, è dunque il criterio di valutazione per determinare l’assegno periodico a favore del coniuge più debole economicamente. Dunque non “povero” o bisognoso, ma nell’incapacità di mantenersi come prima della separazione, cioè di condurre la propria vita in rapporto alle possibilità economiche e al contesto sociale della famiglia unita. E questo perché l’assegno di mantenimento non ha solo natura assistenziale, cioè la funzione di sostegno economico, ma è espressione della solidarietà coniugale. Di quell’obbligo cioè, che si assume con il matrimonio, di condividere con il coniuge le fortune e le sfortune della vita. Accertato, dunque, il tenore di vita, il giudice deve verificare che il coniuge più debole, che lo richiede, non abbia propri adeguati redditi a conservarlo. Infatti la concreta disparità economica tra le parti è un ulteriore elemento di valutazione per decidere se c’è il diritto all’assegno. L’età di chi lo richiede, le sue eventuali potenzialità lavorative, la durata del matrimonio costituiscono altrettanti metri di valutazione. Se un collegio di tre giudici ha studiato per oltre tre anni documenti e argomentazioni relativi allo stile di vita dei coniugi Berlusconi, e poi ha deciso che la moglie ha diritto di avere tre milioni di euro al mese dal marito, deve avere per forza verificato che la famiglia conduceva un tenore di vita di circa cento milioni l’anno. Infatti non bastano i 48 milioni di reddito annuo dichiarati da Berlusconi per giustificare un assegno così alto. Probabilmente egli avrà altri utili a tassazione separata, derivanti dalle diverse società, e consistenti frutti dai suoi sicuri molteplici investimenti. E’ vero però che l’assegno periodico è soggetto a tassazione e, dunque, dei 36 milioni di euro l’anno saranno reddito disponibile della fortunata futura ex moglie circa 18 milioni, cioè 1 milione e mezzo di euro al mese, quindi 50 mila euro al giorno. Un vero problema per Miriam – Veronica. Come e dove e quando si riescono a spendere duemila euro all’ora, comprese quelle notturne? Forse la Signora potrebbe “salire” in politica e risanare il bilancio di qualche piccolo Comune prediletto. Ma potrebbe anche scrivere un bel romanzo, poiché si trova nelle condizioni ideali auspicate da Virginia Woolf: “una donna deve avere denaro, cibo adeguato e una stanza tutta per sé se vuole scrivere romanzi”. Da parte sua Berlusconi avrà certamente calcolato che la moglie gli costa più o meno quanto De Benedetti: se per i prossimi trent’anni circa deve pagare 36 milioni di euro all’anno a Veronica, le dovrà versare più o meno un miliardo di euro. Poiché l’assegno periodico è deducibile dall’imponibile dichiarato, però, Berlusconi avrà avuto un costo effettivo di circa mezzo miliardo di euro. A De Benedetti ne ha dati 540 milioni … Intanto Berlusconi, fino a oggi, pagava le imposte irpef per circa 22 milioni l’anno sui 48 dichiarati. Dall’anno prossimo, dedurrà i 36 milioni di Veronica dal suo reddito e pagherà le tasse “solo” su circa 12 milioni. Sarà un problema per il nostro debito pubblico? Sarà colpa di Berlusconi, se aumenterà? Staremo a vedere. I problemi non sono ancora terminati. C’è il divorzio, che si potrà chiedere individualmente o congiuntamente non appena la sentenza di separazione passerà in giudicato. Sono infatti trascorsi oltre tre anni dall’udienza in cui le parti sono comparse davanti al presidente ed è da quella data che decorrono i tre anni per il divorzio. A quel punto il problema economico si può risolvere, d’accordo, con il versamento di una cifra in un’unica soluzione (e potrebbero essere quei cinquecento milioni di euro!) non deducibile fiscalmente e nemmeno soggetta a tassazione. Oppure con la conferma dell’assegno. A meno che non ci sia prima l’impugnazione in appello, per ridurre la cifra. Ma forse, caro Silvio, non ne vale la pena: credo che Lei tenga a Veronica più che a Carlo De Benedetti. Entrambi sono diventati un incubo e Le stanno togliendo il sonno, ma almeno, con Veronica, ha dormito felice più di vent’anni.