due ragazzi giù dall’8° piano e la famiglia che non vede. Quel naufrago d’affetto in cerca di famiglia

Due giovani sono morti. Avevano vent’anni. Forse si sono suicidati buttandosi insieme dal settimo piano. Forse lui ha ucciso lei, per portarla con sé nella morte. Forse lei ha tentato di salvarlo dalla voglia suicidaria di lui, ma è stata trascinata da un abbraccio mortale.,Probabilmente non sapremo mai la reale dinamica del terribile evento. Possiamo solo intuire o dedurre dalle scarne notizie che riguardano il ragazzo. Era stato adottato, poi i nuovi genitori si erano separati, si era innamorato di una coetanea e da lei era stato lasciato. Era in conflitto con la famiglia adottiva. Aveva già tentato di uccidersi. Era dunque affamato d’amore e segnato da plurimi abbandoni. Una serie di infarti affettivi, in così pochi anni di vita, non può che devastare l’anima di chiunque.,Perdere la madre, a qualsiasi età, è un lutto gravissimo: da piccoli, è una tragedia che produce angoscia e solitudine. Essere adottati è un conforto, spesso però foriero di paure e aspettative confuse, ma anche di diffidenza. Subire la separazione dei genitori è un trauma inevitabile, che fa sentire traditi e maltrattati. Innamorarsi tanto e non essere ricambiati, o buttati via all’improvviso, è intollerabile e fa sprofondare nel senso di panico della solitudine.,Questo povero ragazzo aveva dunque attraversato in pochi anni tutti gli altrove della felicità; quasi certamente soffriva di una grave sindrome abbandonica. Più volte, anche ogni ora della sua breve vita, era stato forse preda del dolore e della paura della ripetizione di una ferita che gli era stata già inferta. Se si era tanto attaccato a quella ragazza, era perché costituiva forse la risposta al suo bisogno insopprimibile di amare, di essere voluto, accudito, riconosciuto. Aveva l’esigenza di sentire di esistere e di essere importante. Quando il loro rapporto si è interrotto, oltre al già conosciuto atroce dolore del distacco, sarà stato sopraffatto anche dal tormento di non poter più manifestare amore al suo unico oggetto d’amore. ,A volte succede che i sentimenti più belli e più forti, travolti dallo strazio dell’anima e dei pensieri, si deteriorino fino a corrompersi. E così l’amore diventa rabbia, odio, tormento vendicativo. Si arriva persino a desiderare la morte dell’altro, prima ancora che la propria. Perché è indispensabile fermare lo strazio e gli spasmi di un’anima per la quale la vita, se ha ancora un senso, è una nemica crudele e implacabile. La morte, invece, può accogliere e dare sollievo al male di vivere.,Una persona così flagellata, però, e per di più di soli vent’anni, è trasparente per chiunque la frequenti. Una personalità abbandonica è molto triste, abulica, arrabbiata: la sua sofferenza non può sfuggire agli occhi più superficiali. Dov’era la solidarietà degli amici, quando lui si perdeva nell’oscurità divorante dei suoi pensieri? Dove sono stati in questo tempo triste il papà e la mamma adottivi, e forse i fratelli se ci sono, e gli altri parenti? Perché nessun adulto si è fatto carico di tanta sofferenza? Non era questo un figlio nato per caso, ma adottato con tutte le difficoltà e le attese che conosciamo. I genitori adottivi vogliono un figlio e sono desiderosi di nutrirlo d’amore, quasi con più forza e impegno dei genitori biologici.,E’ possibile che un padre e una madre, così generosi e tenaci, non abbiano mai colto segnali allarmanti, che pure ci sono stati, o che non siano mai intervenuti con efficacia per porvi rimedio? Con amore, per amore.,Ai figli non possiamo garantire la felicità, ma abbiamo la responsabilità di nutrirli di affetto e attenzione.,Dobbiamo saperli crescere insegnando loro ad amare la vita, e attrezzarli per tempo ad avere il coraggio di viverla.,Annamaria Bernardini de Pace,