Maltrattamenti in famiglia, lo sono anche gli schiaffi educativi ai figli?

di Avv. Federica Mendola

Una sentenza della Cassazione chiarisce gli ambiti

“Gentile Avvocato, il mese scorso abbiamo ritirato la pagella di mio figlio, 14enne. Quando ho visto la sfilza di mediocri sufficienze, l’ho rimproverato a voce. Lui ha reagito rispondendomi male. A quel punto, gli ho dato uno schiaffo. Non era mai successo prima che io alzassi le mani su mio figlio, ma l’ho fatto per la sua educazione. Ora mia moglie mi ha denunciato per maltrattamenti in famiglia. Come posso difendermi?”

La risposta a questa domanda rende necessaria una preliminare distinzione tra due reati previsti dal nostro codice penale, tra i delitti contro la famiglia: il reato di abuso dei mezzi correttivi e il reato di maltrattamenti in famiglia. Commette il primo reato chiunque abusa dei “mezzi di correzione o di disciplina” in danno della persona sottoposta alla propria responsabilità genitoriale, o a lui affidata per ragione di educazione, istruzione, cura, vigilanza.

Alla base di questa ipotesi, dai più ritenuta antiquata, c’è l’idea medievale dei rapporti familiari fortemente gerarchizzati e il riconoscimento ai genitori dello ius corrigendi, che legittimava l’uso della violenza fisica o morale. Questa norma è sopravvissuta all’evoluzione sociale ed è ancora presente nel nostro codice. Oggi trova il proprio fondamento nel “diritto-dovere” dei genitori di educare e istruire i figli, sancito dall’art. 30 della costituzione.

Al di là della collocazione tra i delitti contro la famiglia, l’ambito di applicazione soggettivo di questo reato è molto ampio: l’autore può essere il genitore, l’insegnante, l’istruttore sportivo e anche la baby-sitter. E la condotta scatenante può essere anche un solo episodio di abuso dei mezzi correttivi, che in via ordinaria sono consentiti: per esempio il divieto temporaneo di giocare ai videogiochi o di uscire, il ritiro del cellulare o l’obbligo di riparare la marachella commessa.

Ed è proprio in questo aspetto che si differenzia dal più grave reato di maltrattamenti in famiglia. Commette questo reato chiunque maltratta una persona appartenente alla sua famiglia o convivente o una persona sottoposta alla propria autorità o che gli è stata affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia o per l’esercizio di una professione o di un’arte. Sebbene la norma non lo espliciti, il reato di maltrattamenti si configura solo quando la condotta maltrattante è abituale.

Proprio sulla differenza tra i due reati è intervenuta a giugno 2020 la Corte di Cassazione. La Suprema Corte ha, prima, delimitato i confini del reato di abuso dei mezzi di correzione e ribadito che questo presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi, e, poi, ha chiarito che “deve ritenersi integrato il reato di maltrattamenti in famiglia e non di abuso dei mezzi correttivi laddove i fatti sono connotati da reiterata violenza materiale e morale”.

Dunque, Gentile Signore, un solo schiaffo non configura certamente il reato di maltrattamento in famiglia.

La portata di questa sentenza, dunque, si spinge sino a sovvertire l’originaria concezione del reato di abuso dei mezzi correttivi: l’uso della violenza per fini correttivi o educativi non è mai consentito. A seconda che la condotta violenta sia abituale o meno, si configurerà il reato di maltrattamenti in famiglia, nel primo caso, o il reato di abuso dei mezzi correttivi, nel secondo caso.

* Studio Legale Bernardini de Pace