Ho chiesto la separazione ma l’assegno di mantenimento è troppo basso

di Avv. Benedetta Di Bernardo

“Cosa posso fare di fronte a questa ingiustizia?” L’AVVOCATO RISPONDE

Buongiorno Avvocato, ho chiesto la separazione da mio marito e il Giudice alla prima udienza ha stabilito degli assegni di mantenimento (per me e per nostra figlia) assolutamente inadeguati al nostro standard di vita. Neanche sufficienti a coprire le spese della casa dove abitiamo, che mi è stata assegnata. Preciso che mio marito è socio e amministratore unico della sua società e che le dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni, sulle quali si è basato il Giudice, rappresentano solo in minima parte i suoi reali guadagni. Cosa posso fare di fronte a questa ingiustizia?

Nei procedimenti di separazione e divorzio, l’eventuale incongruenza, inattendibilità o, nel migliore dei casi, incompletezza delle dichiarazioni dei redditi, è un problema all’ordine del giorno. Non è raro, infatti, che il coniuge più abbiente, con l’obiettivo di contenere il più possibile i propri obblighi di mantenimento in favore della famiglia, si prepari per tempo, mettendo in atto una serie di manovre strategiche che, passo dopo passo, ne intaccano – apparentemente – la capacità di guadagno.

Ma anche in assenza di questo intento “doloso”, le dichiarazioni fiscali rappresentano solo uno fra i tanti elementi probatori ai quali il Giudice dovrebbe ancorare la determinazione degli importi a titolo di mantenimento. Basti pensare che dai modelli reddituali non risultano una lunga serie di guadagni idonei a incidere significativamente sulla capacità economica globale dei coniugi (quali, per esempio, redditi esteri non dichiarati, rendite finanziarie, dividendi, plusvalenze derivanti da titoli, azioni o obbligazioni, interessi derivanti dai conti correnti, proventi di fondi, e molti altri). Proprio per questa ragione, ai fini dell’accertamento della capacità economica dei coniugi, il costante orientamento della Corte di Cassazione impone che alle dichiarazioni dei redditi debba essere attribuito “valore solo indiziario, disponendo il Giudice di ampio potere istruttorio che gli consente di ancorare le sue determinazioni ad adeguata verifica delle condizioni patrimoniali delle parti, attingendo a tutti i dati comunque facenti parte del bagaglio istruttorio” (Cass. Civ. 3905/2011).

Benché, dunque, la Legge riconosca ancora al dato fiscale un’importanza prioritaria – imponendo ai coniugi di allegare, al primo atto difensivo nel procedimento di separazione, “le ultime dichiarazioni dei redditi presentate” (art. 706, comma 3 c.p.c.), e di aggiornarle alla prima udienza del giudizio di divorzio (art. 5, comma 9 L. Div.) – in realtà lo spettro probatorio tenuto in considerazione dai Tribunali, ai fini della determinazione degli obblighi di mantenimento, è molto più ampio. Il Giudice, infatti, “non può limitarsi a considerare il reddito emergente dalla documentazione fiscale prodotta, ma deve tener conto di vari elementi di ordine economico” (Cass. Civ. n. 6699/2009; Cass. Civ. 12848/2006), quali la capacità di spesa e lo stile di vita. Proprio a questo si deve la ormai diffusa prassi adottata da molti Tribunali, che impongono ai coniugi, all’inizio del procedimento di separazione, di depositare anche una dichiarazione sostitutiva di atto notorio contenente una vera e propria disclosure di tutte le fonti di ricchezza a loro riconducili (direttamente, indirettamente o fiduciariamente).

Tornando al Suo caso, a prescindere dalla ragione per la quale le dichiarazioni dei redditi di Suo marito non rispecchiano la sua reale situazione economica, gli strumenti a Sua disposizione per far valere questa incongruenza ci sono. E sono assolutamente efficaci.

In primo luogo, Lei potrebbe chiedere al Giudice di disporre indagini a mezzo della polizia tributaria: l’art. 5, comma 9 L. Div. (pacificamente applicato anche al giudizio di separazione), prevede che “in caso di contestazioni relativamente alle dichiarazioni dei redditi prodotte dai coniugi, il Tribunale dispone indagini sui redditi, sui patrimoni e sull’effettivo tenore di vita, valendosi, se del caso, anche della polizia tributaria”. Questo mezzo di prova può essere oggetto di istanza di parte, ma anche attivato d’ufficio, per iniziativa del Giudice, il quale – in ogni caso – conserva un’ampia discrezionalità valutativa, trattandosi di un potere istruttorio del tutto eccezionale e sussidiario, non destinato a sopperire alle carenze probatorie delle parti (Cass. Civ. 9535/2019).

In secondo luogo, potrebbe chiedere al Giudice di interpellare gli Istituti Bancari e di imporre loro (oltre che a Suo marito) la produzione in giudizio di una serie di documenti patrimoniali che certamente arricchirebbero l’impianto probatorio, in aggiunta alle mere dichiarazioni fiscali. Il Giudice, infatti, ai sensi dell’art. 210 c.p.c., “su istanza di parte, può ordinare all’altra parte o a un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione al processo”. In questo modo, possono trovare ingresso, nel giudizio, elementi probatori fondamentali, ai fini dell’inquadramento della reale situazione patrimoniale di Suo marito, quali estratti di conti correnti, movimentazioni delle carte di credito, rapporti di deposito titoli, atti istitutivi di trust o società fiduciarie, ecc.

Infine, ove la situazione contabile e patrimoniale sia particolarmente complessa e di difficile comprensione, si potrebbe chiedere al Giudice di disporre una consulenza tecnica d’ufficio di natura patrimoniale e reddituale, da affidarsi a un perito di fiducia nominato dal Tribunale. Senza contare, naturalmente, la possibilità di provare per testimoni la totale incongruenza fra i redditi dichiarati e le abitudini di spesa della famiglia.

* Studio Legale Bernardini de Pace