Se i carnefici inseguono sempre la morte, noi donne attrezziamoci per salvare per tempo la nostra vita

Di Annamaria Bernardini de Pace

Non credo che la violenza, la cattiveria, la crudeltà siano monopolio del sesso maschile. Anzi. Conosco donne, e comunque sia la storia ce lo insegna, cattive, crudeli e prepotenti. Anche violente. Anche assassine.
Però sono assassini maschi quelli che, circa ogni tre giorni, vengono indicati come colpevoli della morte di una donna. Quasi sempre loro moglie, compagna, fidanzata, ex. 

L’ultimo è un ultraquarantenne, sospettato dell’uccisione di un’amica, di avere distrutto e occultato il cadavere, per poi incendiare l’auto della donna, con il cane.Il cadavere non c’è. Lui si è rifiutato di rispondere alle domande degli inquirenti. Quindi siamo ancora nel campo delle ipotesi di reato. Per quanto vi sia un uomo gravemente indiziato. 

Tuttavia, è sempre una tragedia. La tragedia della violenza che si abbatte sulle donne. Non una donna qualsiasi, ma sempre quella donna. La più vicina a quell’uomo disumano che, non si sa perché, aveva meritato la confidenza o addirittura l’amore della povera vittima. Fanno schifo e non meritano nessuna attenuante questi uomini selvaggi e feroci, troppo numerosi per non essere considerati una categoria. Troppo simili nella viltà, nella barbarie, nella spietatezza per non costituire un modello che noi donne dovremmo saper tenere lontanissimo.


Dovremmo imparare a capire che cosa si nasconde dietro il narciso eccessivo, l’egoista arido, lo scattoso ingovernabile, l’iracondo che impaurisce.
Dovremmo sapere che uno schiaffo o uno spintone sono sempre il trailer di un film di violenza ingestibile. Dovremmo guarire tutte dalla sindrome, tipicamente femminile, della crocerossina pietosa. Più un uomo è uno sfigato, macedonia di problemi assortiti, incapace di scegliere e reagire, più pensiamo che con il nostro intervento sarà guarito e ci amerà di più e per sempre. E non teniamo conto che nel gioco al massacro dei carnefici non ci sono solo la gelosia, la vendetta, l’orgoglio, la crudeltà che costituiscono per il maschio il movente per distruggere la vita della propria donna, ma anche l’invidia.


L’invidia perché lei è più brava, più bella, più ricca, più (apparentemente) forte.
Nella storia di Sabrina, forse uccisa dall’uomo che lei pensava di poter aiutare perché protagonista di una storia difficile di reati e droga, probabilmente la rabbia dell’invidia può anche aver avuto un ruolo determinante.
Purtroppo, stiamo capendo che questa violenza omicida non si riesce a fermare e neppure a frenare. Se non si riesce a imbrigliare e tantomeno a educare l’uomo a governare la violenza, se non bastano i processi e il carcere (per quanto sempre troppo breve rispetto all’orrore del gesto) a costituire una sanzione esemplare, dobbiamo essere noi donne a saperci difendere. Dobbiamo imparare a non essere prede. E lo dobbiamo fare scientificamente. 

Dobbiamo fare il contrario di quello che ci hanno sempre insegnato. Oggi la donna che si fa scegliere, sopporta tutto e perdona “per amore”, è una donna destinata a morire da preda del boia che aveva amato.
Dobbiamo, invece, saper scegliere gli uomini; essere estremamente critiche dei loro comportamenti; intuire le tracce della violenza; non perdonare mai il gesto offensivo; scappare al primo senso di paura. Raccontare. Tessere una rete di amici che, se veri amici, ci sanno proteggere. Scoprire la paura nelle donne a noi vicine e aiutarle. 

Se i carnefici inseguono sempre la morte, noi donne attrezziamoci per salvare per tempo la nostra vita.