Il padre del presunto stupratore non crede al dolore della ragazza perchè lei ha aspettato otto giorni per denunciare

Di Annamaria Bernardini de Pace

L’altro giorno, si è proposto come genitore disperato il padre di uno dei presunti carnefici, Ciro. Oggi leggiamo le parole terribili dei doloranti genitori di Silvia, la vittima, che dicono “il corpo di nostra figlia come un trofeo”, perché sballottato tramite video da un cellulare all’altro. Non c’è, dunque, solo quel video del quale racconta Grillo, (cioè “4 coglioni”, come li chiama lui, “in mutande” e “con il pisello in mano”), ma altri video che fanno martirio di una giovane donna, postati e inoltrati tra sghignazzi e lascivie. 

Sembra che la procura di Tempio Pausania stia approfondendo le carte e la documentazione, persino ridefinendo i capi d’imputazione. A questo punto, la storia sdrammatizzata che Grillo aveva fatto della vicenda, diventa invece drammatica. Al di là, di quelle che sembravano le parole di un padre disperato, al di là delle ovvie critiche calate sulle parole, politicamente scorrette, di un politico di potere. 

Il padre del presunto stupratore non crede al dolore della ragazza, non crede al dolore dei suoi familiari, cerca di convincere chi lo ascolta che non è successo niente, perché lei ha aspettato otto giorni per denunciare. Proprio lui, membro del partito con il merito di avere spostato i termini della denuncia di violenza sessuale dai 6 ai 12 mesi. 

Ma ha la più pallida idea, un uomo, di che cosa voglia dire per una donna essere stuprata? E poi, di che cosa voglia dire raccontare di essere stata stuprata? Ha idea, un uomo, di come una donna venga devastata nel cuore, nell’anima e per sempre anche nel cervello, quando un uomo compie con bieca violenza quel gesto che le adolescenti sognano e immaginano come il momento più bello della propria vita? 

Una donna, nel tempo dallo stupro alla denuncia, deve, appunto, trovare il coraggio di denudarsi ancora, per raccontare lo schifo; con la speranza di evitare i possibili dubbi dell’ascoltatore, medico, poliziotto, giudice, avvocato, ma anche familiare che sia. In questo tempo, anche più lungo di otto giorni – fino a un anno, ma in America abbiamo visto anche dopo 20 anni – la donna può dire e fare qualsiasi cosa all’esterno, mentre dentro di lei si combatte la guerra, tra orrore, angoscia e desiderio di giustizia. E alcune perdono la guerra e non denunciano mai. Per questo, forse, non ci dovrebbe mai essere una scadenza per denunciare, quando si è stati privati della propria dignità e si lotta per riappropriarsene. 

La donna stuprata sa che non c’erano testimoni, al momento del gesto agghiacciante. Sa che l’unico testimone è il carnefice. Sa che è stato più forte di lei, perché l’ha sopraffatta con la morbosa violenza del sesso. E non cambia se erano quattro, succede sempre nel branco, se uno è colpevole, gli altri sono complici. La donna stuprata è sola: sa che deve convincere il mondo e subirne il giudizio, alternativamente, di poverina o di bugiarda. 

Silvia è fortunata, perché i suoi genitori sono protettivi e accudenti, e condividono con lei lo spazio, per ora cocente e infinito, del dolore. La sorreggono e la difendono.
E come può, Grillo, lui uomo e padre, dimenticare di proteggere prima di tutto una donna che piange e, subito dopo, eventualmente, l’uomo che l’ha fatta piangere, anche se è il proprio figlio? Perché ha escluso, invece, senza prove, che il figlio sia carnefice e ha considerato, immediatamente dopo, sempre senza prove, che la donna sia falsissima? Anche se forse non è giusto che di primo acchito si debba sempre e per forza credere alla ragazza. 

E poi tutti dovremmo sapere che dal 1989 non esiste più il mandato di cattura obbligatorio. È il pubblico ministero a valutare, caso per caso, se sussistono esigenze per sottoporre il presunto colpevole alla misura cautelare del carcere o degli arresti domiciliari. La regola è che si vada in galera da colpevoli e non da presunti innocenti. Se il figlio di Grillo, e i suoi compagni, hanno commesso un reato, non l’hanno commesso in un contesto abituale e, comunque sia, il Pm ha valutato che non c’era rischio di inquinamento delle prove, non c’era possibilità di reiterazione del reato e, tanto meno, pericolo di fuga. Dunque, non era necessaria la misura cautelare, e infatti, Ciro Grillo e i suoi compagni, in due anni, non sono scappati, non hanno commesso altri reati e probabilmente non hanno inquinato le prove. Anzi, ora sembra che le prove a carico siano aumentate, tanto che la procura sta re-individuando, forse, altri capi d’imputazione. Comunque sia, il racconto di quella notte sta acquisendo sfumature, per non dire macchie, sempre più violente, tanto da rendere ancora più fuori luogo l’aggressiva video-comunicazione di Grillo. 

Di tenore ben diverso, il comunicato ricco di sofferenza e umanità dei genitori della ragazza. Forse, noi, invece di discutere e polemizzare, dovremmo condividere il dolore di tutti questi genitori coinvolti drammaticamente; straziati per dover difendere i loro figli dalle accuse o dalla violenza, senza riuscire a darsi una risposta sul perché quel dolore abbia colpito proprio loro.