Diritto all’oblio, come tutelare la propria reputazione sul web

di Dott. Alice Meggiorin

Nel caso i propri dati personali sul web non siano più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti, si può far valere il diritto all’oblio“.

Gentile Avvocato, mi chiamo Francesco, ho 55 anni e faccio il broker finanziario (o meglio, facevo). Purtroppo, dieci anni fa sono stato coinvolto in uno scandalo finanziario che ha interessato l’azienda per la quale lavoravo e, pur non avendo commesso alcun reato ed essendo stato assolto con formula piena, sul web il mio nome viene ancora accostato a quello di ex colleghi risultati colpevoli in sede penale. A oggi sono disoccupato, perché nel mio lavoro la reputazione è fondamentale e da una semplice ricerca del mio nominativo sul web emergono ancora decine di vecchie notizie – peraltro errate – sul mio conto, che danno un’idea distorta della mia professionalità. È possibile intervenire in qualche modo per riabilitarmi dal punto di vista lavorativo?

Caro Signor Francesco,

comprendo la rabbia e la frustrazione che prova ora e che hanno contraddistinto questi anni di disoccupazione ingiusta. Purtroppo, la diffusione capillare dell’utilizzo di internet e, soprattutto, della stampa online, impone agli utenti la necessità di appellarsi a tutele specifiche, in primis quella di difendere o di riaffermare la propria reputazione sul web.

Nel suo caso, ritengo sia fondamentale far valere il diritto all’oblio. Si tratta di un diritto frutto di elaborazione giurisprudenziale, prima ancora che normativa, oggi regolato dall’art. 17 del GDPR (Regolamento UE n. 679/2016 sulla protezione dei dati personali), il quale elenca una serie di motivi in presenza dei quali l’interessato ha il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei dati personali che lo riguardano. Fra le varie ipotesi, la più calzante nel suo caso è quella secondo la quale l’interessato può chiedere la cancellazione laddove i dati personali non siano più necessari rispetto alle finalità per le quali sono stati raccolti o trattati.

É facilmente intuibile, infatti, che alla base dei numerosi articoli online usciti sul suo conto vi fosse un interesse di cronaca, che, con ogni buona probabilità, a oggi non sussiste più, considerato il lasso di tempo trascorso dagli accadimenti. Questo aspetto è determinante per la soddisfazione del diritto all’oblio, in quanto va tenuto in considerazione che il diritto alla protezione dei dati personali non è un diritto assoluto, ma che deve essere considerato in relazione alla sua funzione nella società ed essere, quindi, bilanciato con altri diritti fondamentali, fra i quali proprio il diritto alla libertà di informazione. Come ribadito recentemente anche dalla giurisprudenza europea, è, quindi, fondamentale stabilire quando il trattamento dei dati personali risulti in concreto necessario per esercitare la libertà di espressione e informazione nel pubblico interesse.

L’ ultima parola spetta sempre all’interprete, cioè all’autorità (giudiziaria o il Garante Privacy) chiamata a decidere se in una determinata vicenda in esame, il soggetto interessato possa pretendere che una notizia che lo riguarda, pur legittimamente diffusa in passato, non resti esposta a tempo indeterminato alla possibilità di nuova divulgazione. Al termine di questo bilanciamento, laddove risulti prevalente il diritto alla tutela dei dati personali (e, quindi, si possa legittimamente far valere il proprio diritto all’oblio) è possibile richiedere al gestore del motore di ricerca di effettuare la cd. deindicizzazione.

Già nel 2014 (con il famoso “caso Google”), infatti, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha affermato che il gestore di un motore di ricerca su internet è responsabile del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi. Così, se a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona l’elenco di risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore oppure, qualora questo non dia seguito alla sua domanda, alle autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati.

Sui rapporti tra diritto all’oblio e diritto all’informazione è intervenuta nel 2019 anche la nostra Corte di Cassazione, secondo la quale, nel contrasto tra questi due opposti diritti, il Giudice deve valutare l’interesse pubblico, concreto e attuale alla menzione degli elementi identificativi delle persone che furono protagoniste di quelle vicende. Infatti, rievocare questi elementi è ritenuto lecito soltanto se in riferimento a personaggi che suscitino nel presente l’interesse della collettività, sia per ragioni di notorietà sia per il ruolo pubblico rivestito. In caso contrario, prevale il diritto degli interessati alla riservatezza rispetto ad avvenimenti del passato che li feriscano nella dignità e nell’onore e dei quali si sia ormai spenta la memoria collettiva.

Da un punto di vista operativo, quindi, il primo passo concreto da compiere per chi si trova nella Sua posizione è quello di rivolgersi al gestore del motore di ricerca, quale titolare del trattamento, per chiedere formalmente di rimuovere dai risultati di ricerca associati al suo nominativo le URL che rinviano alle fonti che riportano informazioni ritenute per Lei pregiudizievoli. Google, per esempio, mette a disposizione un modulo ad hoc da compilare indicando con precisione i link in questione, ma volendo si può affidare agevolmente anche a società terze che si mettono in contatto diretto con i motori di ricerca e offrono una garanzia di risultato.

In caso di mancata risposta o di risposta negativa (qualora i motori di ricerca si rifiutino di rimuovere dalla lista un contenuto, sostenendo che la sua inclusione nell’elenco dei risultati sia strettamente necessaria per tutelare la libertà di informazione degli utenti di internet), il successivo rimedio è il reclamo al Garante Privacy o, in alternativa, il ricorso dinanzi all’autorità giudiziaria (considerando che laddove si scelga la via del reclamo al Garante, è poi possibile impugnare la decisione avanti all’autorità giudiziaria). Le strade da poter percorrere per ottenere giustizia sono quindi più di una, e pertanto, caro Signor Francesco, La invito a non esitare ulteriormente prima di riprendere in mano la Sua vita, iniziando proprio dalla riabilitazione della Sua immagine personale e professionale, facendo valere il proprio diritto all’oblio.