Gay Pride: per molti una legittima manifestazione per alcuni una sfilata “indecorosa”: che cosa ne pensi?

Rivista LEI Style 

Il Pride è un momento politicamente ed esteticamente a sé: è un modo per affermare con fierezza, enfasi e provocazione, il proprio essere e la propria identità di genere, qualunque essa sia. Il Pride è colorato, eccessivo, variopinto, pieno di musica, piume e glitter. Ma non è solo questo: è un’onda che riempie le strade di persone che rivendicano i loro diritti, la loro libertà e soprattutto che cercano di sensibilizzare il fenomeno dell’omofobia. Non capisco perché dovrebbe essere definito indecoroso. Sarebbe forse più “accettabile” se sfilassero in giacca e cravatta uniformandosi ai diktat della maggioranza? Non è questo ciò che con il Pride si vuole comunicare; infatti, nasce proprio per dare la possibilità a chiunque di mostrarsi per come è realmente. Pride significa orgoglio, orgoglio di essere noi stessi! 

– Il PD presenta di nuovo in Senato il Ddl Zan, lo stesso testo bocciato nel 2021. Che cosa prevedi accadrà? 

È difficile prevedere cosa accadrà. Dal mio punto di vista il Ddl Zan è già superato nei fatti e sarebbe meglio andare oltre. Anche perché trovo assurdo quanto prevede la seconda parte dell’articolo 1: “per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé, in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendente dall’aver concluso un percorso di transizione”. Infatti, accettandola, si stravolgerebbe la legge 164/82, quella che definisce esattamente il percorso per la transessualità. Con il Ddl si potrebbe persino autocertificare il genere di appartenenza, anche modificandolo nel corso della vita. Senza controllo di medici, psicologi e giudici, senza terapie e perizie. Su questo punto, è indispensabile un dibattito pubblico che coinvolga medici, psicologi, psichiatri e giudici. E si vedrà se modificare la legge 164. 

Staremo a vedere.

 – I pregiudizi costituiscono una barriera durissima da abbattere: quali strumenti usare per sgretolare questo muro? 

Anche Albert Einstein davanti ai pregiudizi “alzava le mani”: «è più facile scindere un atomo che abolire un pregiudizio». E invece secondo me gli antidoti per sconfiggerli ci sono eccome: il primo fra tutti, è la conoscenza. I pregiudizi possono essere eliminati grazie alla formazione costante. La cultura ci aiuta a pensare, a essere più riflessivi e saggi. Strumenti come la lettura, la filosofia, il teatro e, perché no, le semplici conversazioni con gli amici sono utilissime. Ci fanno rendere conto quali pregiudizi siamo soliti avere e quindi ci aiutano a eliminarli gradualmente. Anche perché, se è vero che tutti noi abbiamo pregiudizi, è anche vero che ognuno di noi potrebbe esserne vittima in prima persona. Per questo motivo è necessario avvicinarsi alle persone che non conosciamo, con la voglia di ascoltare e di osservare senza filtri. Poniamoci tante domande, apriamo la mente e il cuore, non spaventiamoci davanti alla diversità degli altri, perché, come giustamente ha detto Drusilla Foer sul Palco di Sanremo, tante volte le nostre convinzioni sono solo convenzioni!

– Il crossdressing può essere praticato sia da uomini sia da donne, indipendentemente dall’identità di genere o dall’orientamento sessuale, cosa pensi in merito? 

Potersi vestire come si vuole, senza essere giudicati da nessuno e senza doversi uniformare a un ideale imposto, sarebbe per me una delle più grandi vittorie della libertà. Tuttavia, per quanto mi piaccia pensare il contrario, ancora oggi, agli occhi della maggior parte delle persone, “l’abito fa il monaco”. Ma se la donna nel tempo ha saputo indossare i pantaloni, capo prettamente maschile, chi l’ha detto che l’uomo non possa indossare una gonna? Anch’io ogni giorno mi vesto con giacca e pantaloni, ma nessuno oggi mi definirebbe “crossdresser” per il semplice motivo che tutte le donne si vestono così. Certo è che se vedessi un Giudice (al posto di Damiano dei Maneskin o di Achille Lauro) indossare in un’aula di Tribunale i tacchi a spillo resterei alquanto impressionata. Ma forse, anzi sicuramente, è semplicemente una questione di abitudine. Pensiamo al periodo Rinascimentale. Oggi avremmo l’impressione che tutti gli uomini di allora fossero crossdresser: minigonne, calzamaglie aderenti, scarpe scollate, tessuti damascati e coloratissimi. Questo ci fa capire che non sono gli abiti a sancire l’identità sessuale, ma soltanto la prassi. Le persone sono ciò che sono a prescindere da quali vestiti mettono. L’importante è indossare ciò che ci rende felici, liberi e sicuri di noi stessi.

– Identità fluida, come saranno i genitori di domani? 

Essere genitori è un “mestiere difficile”, a prescindere dall’identità sessuale. 

Nessuno può negare che il concetto di famiglia sia in continua evoluzione. Io, in primis, ho officiato innumerevoli unioni civili, ho fatto riconoscere in Italia figli nati all’estero tramite maternità surrogata a coppie omosessuali, ho trattato separazioni tra persone dello stesso sesso e tanto altro! Oggi, i figli crescono in famiglie con genitori conviventi, separati, divorziati, risposati, omosessuali o single. E allora? Conosco omosessuali con dei figli e posso garantirle che vedo bambini felici, stabili e sereni, così come conosco coppie etero totalmente incapaci ad adempire al ruolo di genitori. 

Resto basita ogni qual volta sento parlare di modelli per i nostri figli. Come se due persone dello stesso sesso, a loro volta, non fossero nate da una famiglia tradizionale. La famiglia è amore.